TRA LA SABBIA E IL FANGO L'inquinamento da
anidride carbonica sta alterando il clima di tutto il pianeta.
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Barbara Carazzolo (FC) |
Fa troppo caldo, i ghiacciai si sciolgono, il deserto avanza, aumenta il rischio di alluvioni. Ma alla Conferenza dell'Aja il veto di alcuni Paesi ha impedito l'accordo sulla riduzione di emissioni inquinanti. Ora c'è quella di Bonn, che probabilmente avrà lo stesso risultato.
La versione ufficiale è: la Conferenza è sospesa. La versione vera è: la Conferenza è fallita. Ma niente paura, è in arrivo una nuova conferenza in cui, con ogni probabilità, non si deciderà nulla, però con molto diplomatico e internazionale fair-play.
L'Aja, 25 novembre 2000: la sesta Conferenza internazionale sul clima si è conclusa con un nulla di fatto. I governi dei 180 Paesi presenti avrebbero dovuto varare, tre anni dopo il protocollo di Kyoto, il primo accordo concreto per la riduzione dei gas serra, responsabili dei devastanti cambiamenti climatici ormai in atto. Si trattava di un appuntamento importante, perchè il rapido aumento della temperatura del pianeta sta causando una delle più gravi crisi ambientali mai verificatesi e coinvolge le scelte energetiche, la crescita economica, i modelli di sviluppo e, dunque, il futuro delle generazioni umane.
Ma Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Giappone hanno vanificato ogni tentativo di prendere impegni concreti, nonostante la buona volontà dell'Unione europea, che sull'argomento è molto sensibile. Non è stata una sorpresa: il Senato americano, da tempo, ha detto chiaramente che non ratificherà mai un trattato che comporti un danno economico per le industrie del suo Paese, e dello stesso parere sembrano essere gli altri Paesi fortemente industrializzati e tenacemente aggrappati alla loro convivenza economica più immediata.
Se le cose stanno così, non si capisce bene a cosa potrà servire la prossima conferenza di Bonn dove, dall'11 al 22 dicembre, gli stessi Paesi si riuniranno, ed è la quarta volta, per discutere di desertificazione, che è poi solo una delle conseguenze del cambiamento climatico. Il rischio, ancora una volta, è che dopo tanto parlare della gravità della situazione, ci si dia appuntamento alla prossima conferenza perchè le decisioni da prendere sono economicamente troppo impegnative, oltre che politicamente molto impopolari.
Eppure non ci sono più alibi: la maggior parte degli scienziati di tutto il mondo, ormai, ammette che il clima del pianeta sta cambiando troppo velocemente, e che la causa principale è proprio l'attività umana. O, meglio, la gran quantità di anidride carbonica e di altri gas sprigionati dalla combustione di carbone, petrolio e altri combustibili fossili. Anche la deforestazione e alcune attività agricole contribuiscono all'aggravamento delle condizioni climatiche e al surriscaldamento del nostro pianeta.
Già oggi assistiamo ai primi effetti. Nell'ultimo secolo, per esempio, il livello dei mari è aumentato di 10-25 centimetri, causando fenomeni di erosione nell'80 per cento delle spiagge del mondo. Intanto, si assiste ad un progressivo arretramento dei ghiacciai permanenti (quelli alpini hanno già perso metà del loro volume negli ultimi 150 anni) e allo scioglimento del permafrost (lo strato di terra permanentemente ghiacciato) nell'Artico.
Nei prossimi anni, tutto questo potrebbe provocare la scomparsa d'intere zone costiere e degli atolli, con la relativa estinzione di molte speci di animali e di piante. Senza contare l'infiltrazione di acqua salata nelle falde acquifere e la perdita di molte zone agricole.
Intanto avanza la desertificazione: secondo le Nazioni Unite, sono circa 110 i Paesi già colpiti dal fenomeno. Se il problema è particolarmente grave in Africa e nei Paesi in via di sviluppo dell'America latina e dell'Asia, anche gli Stati Uniti, l'Australia e, in Europa, l'Italia, la Grecia, il Portogallo e la Spagna sono coinvolti dal fenomeno.
In tutto il bacino del Mediterraneo, d'altronde, i cambiamenti climatici in atto hanno portato svolgimenti che sono sotto gli occhi di tutti. Se le precipitazioni piovose sono complessivamente diminuite, è invece aumentato l'indice di piovosità E' cresciuto, cioè, il rapporto tra quantità di pioggia caduta e durata dell'evento, cosa che ha comportato l'incremento di piogge torrenziali, con conseguenti danni al territorio e all'agricoltura e, quindi, alle casse dello Stato. Solo in Italia, per esempio, esondazioni e siccità ci costano circa ottomila miliardi l'anno.
"La situazione è ancora più grave di quanto non fosse stato previsto", dice Domitilla Sereni, direttrice di Greenpeace Italia, una delle associazioni ambientaliste che ha seguito più da vicino i lavori delle varie conferenze internazionali. "Intanto, è ormai certo che il fenomeno sia irreversibile. Studi recenti, inoltre, i cui dati verranno pubblicati a maggio ma che ai Governi riuniti all'Aja sono già stati forniti, sostengono che entro il 2100 il previsto aumento della temperatura di 3 gradi potrebbe essere, invece, di 6 gradi. Significa che tutti gli impatti ambientali previsti potrebbero subire un'accellerazione. Per ridurli, ci vorrebbe un abbattimento delle emissioni del 60 per cento, ma i Governi non riescono a mettersi d'accordo nemmeno su tagli del 5 per cento, per colpa dell'intransigenza di alcuni Paesi, Stati Uniti in testa. L'Europa, per dare un segnale forte, dovrebbe comunque ratificare il protocollo di Kyoto senza ulteriori indugi. E poi cominciare seriamente ad attuare politiche energiche migliori, come sta già facendo la Danimarca, che ha incrementato i suoi impianti di energia eolica".
Continua la Sereni: "L'Italia, invece, che dovrebbe ridurre le sue emissioni del 6,5 per cento, è indietro. L'Enel ha adottato la politica del >piu' consumi e meno paghi<, alla faccia dell'auspicata riduzione dei consumi, e continua ad usare le centrali a carbone, le più inquinanti anche se le meno costose. Invece, occorre riconvertire a gas queste centrali, in attesa di passare alle fonti rinnovabili, come l'eolica e la fotovoltaica, sulle quali, però, l'Eni non sta nemmeno investendo".
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