La Guerra Preventiva non Sconfigge il Terrorismo |
Di Beppe Del Colle, marzo 2004 |
È lecito dubitare che bastino i cortei a bloccare un meccanismo di morte che va contrastato con strumenti meglio concordati a livello internazionale, più che con la guerra "preventiva" e unilaterale.
Fra l'11 e il 14 marzo in Spagna ci sono stati due movimenti tellurici: gli attentati di Madrid e il resultato inatteso delle elezioni, le cui onde successive si sono riflesse sull'intera Europa e su tutto l'Occidente. In tre giorni è cambiato l'orizzonte politico del mondo.
L'onda lunga del doppio sisma spagnolo arriverà fino alle elezioni di novembre negli Stati Uniti, dove Bush potrebbe essere allontanato dalla Casa Bianca per lo stesso motivo che ha provocato in Spagna la sconfitta del partito popolare: e cioè l'amara constatazione, sia pure sotto la spinta emotiva di una strage come quella di Madrid, che la guerra al terrorismo non si combatte, e soprattutto non si vince, con le guerre "preventive" in Paesi di cui si suppone che siano alleati del terrorismo.
Nei medesimi tre giorni fatali al Pp spagnolo, sei americani sono stati uccisi in Iraq dalla guerriglia, e questo stillicidio di morti non può non pesare sul giudizio degli elettori americani, così come i 200 cadaveri straziati dalle bombe sui treni di Madrid hanno contato sul giudizio degli elettori spagnoli. Non solo: in Spagna il Governo dei "popolari" è stato sconfitto anche a causa della sua bugia ufficiale, secondo la quale gli attendati dell'11 marzo erano opera dell'Eta, mentre era chiaro fin da subito che una naturale prudenza avrebbe consigliato di considerare anche l'ipotesi Al Qaida (e sappiamo quante e quali bugie abbia raccontato Bush agli americani per giustificare la guerra all'Iraq).
Sebbene non sia ancora del tutto certo il modo in cui questa ipotesi potrà essere verificata - se cioè sotto la cifra indistinta di Al Qaida possa esservi qualcosa di più complesso, attraverso complicità e collegamenti con movimenti terroristici di carattere locale -, nel caso specifico degli attentati di Madrid è già evidente una stretta relazione con la strage del marzo 2003 a Casablanca, in Marocco, addebitabile certamente ai medesimi autori.
E non c'è bisogno di scomodare i ricordi storici, gli 800 anni di dominio arabo-musulmano della Spagna, concluso solo nel medesimo anno della scoperta dell'America con la conquista cattolica dell'ultimo avamposto islamico, Granada, per immaginare quanto proprio la Spagna sia, anche oggi, uno degli obbiettivi privilegiati del sogno di rivincita storica dell'Islam sull'Occidente, così presente nell'ideologia del fondamentalismo politico-religioso musulmano fin dalla prima metà del secolo ventesimo.
È inutile illudersi, come pare stiano facendo I promotori di manifestazioni popolari "contro il terrorismo" qua e là per l'Europa, ma soprattuto in Italia. Facendo salva la buona fede di tutti, possiamo domandarci se tali manifestazioni servano davvero a esorcizzare il terrorismo, o se non si debba piuttosto analizzare seriamente le origini e le motivazioni, collettivamente, europei e americani insieme, ma anche con i Governi e le élite religiose e culturali musulmane "moderate" e sicuramente più coerenti con il Corano di quanto non lo siano le farneticazioni dei fondamentalisti basate, secondo lo scrittore tunisino Abdelwahab Meddeb, autore di La malattia dell'islam (Bollati Boringhieri), sul principio che "il mondo islamico non si è mai rassegnato al fatto che la capitale-mondo si sia più spostata verso l'Occidente"; da Baghdad, nel X secolo, a New York, oggi.
È lecito dubitare che bastino cortei fatti "tutti insieme" a bloccare un meccanismo di morte che deve essere affrontato con strumenti di intelligence più raffinati, e meglio concordati internazionalmente, più che con la guerra "preventiva" e unilaterale.
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