Anche Questa Guerra Non Risolverà Nulla |
Di Beppe Del Colle, Estratto dall'Italo Americano, 3 aprile 2003 |
Persino la tragedia che stiamo vivendo si porta dietro un carico indicibile di sofferenza, morte e dolore. Se cancellerà qualche problema, ne aprirà altri. E risulterà, infine, insensata, feroce e inutile.
Punto primo. Dopo la domenica 23 marzo; dopo le immagini televisive dei soldati americani morti e di quelli fatti prigionieri in un'imboscata nelle retrovie dell'avanzata; dopo la feroce, assurda caccia a raffiche di kalashnikopv nel fiume Tigri sotto gli occhi di una folla ostile a due fantomatici, quasi certamente inesistenti piloti Usa che sarebbero sopravvissuti all'abbattimento del loro aereo; dopo tre giorni di incubo televisivo sui bombardamenti di Baghdad; dopo le file di iracheni che si sono arresi senza combattere, illudendo gli avversari che tutti gli uomini di Saddam si sarebero comportati nello stesso modo; dopo tutto questo, e dopo tutto quello che non abbiamo né visto, né sentito, né letto, ma che sicuramente c'è stato, una cosa può essere detta con assoluta certezza: che nessuna guerra, nemmeno questa, può essere immaginata prima che cominci.
Tutte le previsioni, anche quando si contraddicono, per non dire le pianificazioni, sono smentite dalla realtà. La sproporzione delle forze in campo, evidentissima fino alla vigilia dell'attacco, appare ora ridimensionata da una resistenza di tipo "partigiano" e terroristico forse episodica, forse limitata, rapidamente eliminata una volta uscita allo scoperto, ma imprevedibile.
La guerra aerea angloamericana è stata fin qui condotta con il massimo scrupolo possibile evitando bersagli civili, il che, come la mittente televisiva Al Jazira ha ampiamente dimostrato, non può mai escludere che questi vengano colpiti. L'alleato turco si è rivelato infido e dedito ai propri interessi. Non c'è stata la sollevazione in massa della popolazione contro il regime di Saddam Hussein, né è possible immaginarla senza tener conto delle divisioni etniche, politiche e religiose in una nazione "artificiale", nata e disegnata per volontà occidentale dopo la Grande Guerra e sopravvisuta a molti sconvolgimenti, colpi di Stato e guerre interne ed esterne fino ad oggi.
Punto secondo. Il mondo circostante è apparso diviso fra una infinità di manifestazioni contro la guerra, caratterizzate da canti, balli, musiche a pieno volume, striscioni e logan talvolta violenti e in una sola direzione (il presidente americano George W. Bush), volti di ragazzi e ragazze di oggi atteggiati più a festa che a consapevolezza di una tragedia, mentre i leader dell'opposizione stentano a farsi notare nella marea dei "movimenti"; e il silenzio assordante del resto dell'opinione pubblica, l'assenza pressoché totale della politica contraria al pacifismo: non una bandiera a stelle e strisce opposta all'arcobaleno della pace che ha ridipinto, ad esempio, tutte le città italiane.
Come ha scritto Il Foglio diretto da Giuliano Ferrara, che certamente è schierato da quella parte: "Non un tentativo di aggredire i problemi posti dalla guerra con uno sforzo di cultura politica. Senti la pochezza di un personale politico non abituato a discutere, incapace di parlare con i giovani, di farsi applaudire o fischiare, di convincere o di farsi attraversare dalle contraddizioni della politica".
Punto terzo. Mentre l'America e l'Inghilterra si raccolgono naturalmente intorno ai loro soldati, che vedono in pericolo, Giovanni Paolo II continua a difendere, con le ragioni della fede in Dio, l'umanità offesa dalle opposte "ragioni di Stato" che confluiscono in un unico alveo, quello della guerra come strumento di soluzione dei conflitti.
Anche questa guerra, come tutte le altre, non risolverà stabilmente nulla;
se cancellerà qualche problema, ne aprirà altri; e risulterà infine, insieme,
insensata, feroce e inutile.
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