LA GUERRA "GIUSTA"

Di Michele DI SCHIENA - Riprodotto dall'Italo Americano, 18 ottobre 2001

Un giorno lontano, in Galilea, un uomo che diceva cose nuove si portò sopra un'altura e, parlando con gli amici ed i curiosi che l'avevano seguito, chiamò beati i poveri, i costruttori di giustizia ed i fautori di pace. Poi, passando da un luogo all'altro della martoriata Palestina, esortò i suoi seguaci ad amare tutti, persino i nemici, ed a praticare una giustizia diversa da quella dei dotti e dei potenti del suo tempo per dare cibo agli affamati (singoli e popoli), acqua agli assetati, alloggio ai senza tetto e condizioni di vita umana per ogni persona. Fu mite con tutti tranne che con gli ipocriti e con quanti volevano fare mercato anche nella sua "casa". Le sue parole di fraternità e di liberazione spaventarono il potere più degli atti dei guerriglieri e dei terroristi del tempo e, in una notte di tradimenti mentre veniva arrestato per un sublime "reato di opinione", ordinò ad un suo amico che voleva difenderlo di rimettere la spada nel fodero ricordandogli che le armi seminano sempre morte anche in danno di chi le usa. Morendo, chiese infine perdono per chi lo stava uccidendo dopo la condanna definitiva di una folla suggestionata dal ceto dominante con l'uso dei mezzi di persuasione collettiva allora disponibili.

Ebbene, quest'uomo, nel quale la speranza ha riconosciuto l'incarnazione del Figliolo di Dio o solo la personificazione dell'espressione più elevata del pensiero umano, è la contraddizione più autorevole e più radicale della violenza e della guerra e nessun Ruini, Navarro o Baget Bozzo non potranno mai fargli dire cose diverse da quelle che ha detto cercando di collocare nell'alveo del suo insegnamento quella dottrina della "guerra giusta" che la Chiesa ha superato col magistero del Concilio Varicano II (Costituzione "Caudium et Spes"), di Papa Giovanni XXIII e dei suoi successori.

Ma su un piano diverso da quello religioso, il rifiuto di tutte le guerre si fonda su argomenti che la ragione coglie e l'esperienza storica conferma, quando la prima si libera da istintività o incrostazioni ideologiche e la seconda si fa attenta alle tragiche conseguenze delle operazioni belliche. Deve invero considerarsi un malinconico retaggio di vecchie culture l'enunciato per il quale ad azioni riprovevoli è giusto rispondere con azioni altrettanto inique. La verità è che la violenza può essere combattuta solo con logiche di pace e con lotte non-violente e che il male può essere riparato solo col bene e cioè con un'attività opposta rispetto a quella degli autori di delitti e misfatti e perciò capace di annullare o almeno ridurne gli effetti.

Certo, i singoli stati e la comunità internazionale, quella vera perché rappresentativa i popoli, hanno il diritto-dovere di attuare interventi di legittima difesa per neutralizzare il terrorismo, ma è un'ipocrisia far passare per scelte della comunità internazionale decisioni prese solo dalla superpotenza statunitense e chiamare operazioni di polizia internazionale azioni sostanzialmente di guerra perché tali da comportare necessariamente l'uccisione di innocenti e l'attacco a diritti fondamentali ed interessi vitali di popolazioni estranee ai motivi del conflitto. Ed è anche un'ipocrisia partecipare ad una guerra e contemporaneamente inviare soccorsi umanitari per lenire i mali e le sofferenze che la politica avrebbe potuto prevenire. Ed è infine ipocrita e folle non interrogarsi sulle cause dei terrorismi e delle violenze in un mondo nel quale centomila persone muoiono ogni giorno per fame e malattie provocate da quella globalizzazione neoliberista contro la quale si leva in America ed in Europa la voce di crescenti moltitudini di giovani convinti che "un nuovo mondo è possibile" e che occorre subito por mano alla sua costruzione.

C'è inoltre il rischio, e lo si avverte in tutta la sua preoccupante portata, che il potere distrugga il diritto, quell'insieme cioè di principi e di direttive rivenenti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo, dai più avanzati trattati internazionali e dalle Costituzioni che proclamano i valori della democrazia partecipativa, dell'uguaglianza, della solidarietà e del ripudio della guerra. È perciò quella che stiamo vivendo una stagione buia nella quale cercano per l'ennesima volta di prendere corpo quei fantasmi che si sono sempre materializzati nei periodi di crisi e che hanno segnato di lacrime e sangue la storia dell'umanità. Ma proprio per questo quella attuale deve essere una stagione di lotta disarmata contro il terrorismo e le guerre, contro le violenze e le disuguaglianze, per il diritto e per i diritti, per la fratellanza universale e per la pace.

 

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