Quei Ragazzi con il Mitra

Come vive la grande capitale, con sei milioni di abitanti e un'infinità di armi. È uno dei capitoli di Bye Bye Baghdad, il reportage sull'Iraq scritto dal giornalista Fulvio Scaglione. Dicembre 2003.

Ad Al Mahmudiya, sterminata periferia sud di Baghdad, avevamo incontrato Ebah, la dentista pessimista. Ma non solo lei. Anche Mahdi, 19 anni, un ragazzo simpatico, affabile, con un gran sorriso e una gran kalashnikov. Pattugliava il cortile del centro medico, tranquillo ma vigile, e rispettato, nei grandi viavai di pazienti, parenti dei pazienti, visitatori, sfaccendati.

Gli ho chiesto per conto di chi o di che cosa faceva la guardia. Mi ha risposto: per il ministero della Sanità. Allora, incuriosito dal fatto che, con tanti ex soldati ed ex poliziotti a spasso, quel posto fosse andato ad un ragazzo, gli ho chiesto anche come avesse trovato il lavoro.

La risposta vale più del trattato di qualunque politologo. Mahdi fa parte di un gruppo di 36 guardiani che furono arruolati durante la guerra dal clero sciita di Al Mahmudiya per sgombrare le strade dai cadaveri e dai relitti delle automobili e dei mezzi dell'esercito distrutti durante gli scontri. Rigorosamente senza salario, gratis et amore Allah.

Poi, net primi giorni del dopoguerra, sempre quei 36 furono passati ad un altro incarico: pattugliare le moschee del quartiere per evitare saccheggi e disordini, recevendo all'uopo un mitragliatore a testa in dotazione. Passato un altro mese, furono assunti in blocco dal ministero della Sanità per far la guardia a ospedali e dispensari. Gli stessi 36, con gli stessi kalashnikov nello stesso quartiere. Se domani scoppiasse un contrasto tra autorità religiose sciite e autorità laiche di governo, a chi darebbero retta questi 36 ragazzi col mitra? A chi andrebbe la loro prima, istintiva fedeltà?

Negli stessi giorni si svolgeva il grande pellegrinaggio alla moschea di Al Khadimiya, dalla parte opposta di Baghdad. Migliaia di sciiti, arrivati con ogni mezzo da ogni parte dell'Irak, avanzando verso il tempio cantando, battendosi il petto, frustandosi le spalle con le catene, innalzando grandi ritratti degli ayatollah Khomeini, Al Sadr, Al Hakim e le icone del capostipite Alì.

I soldati americani controllavano a distanza, cercando di farsi notare il meno possibile. Accompagnavano il corteo al chiaro scopo di proteggerlo più che di contenerlo, decine di uomini armati che ogni tanto, posato il fucile o agganciata la pistola alla cintura, spruzzavano acqua fresca sui pellegrini inchiodati dai 40 gradi dell'ultima estate.

Anche lì ho provato a chiedere chi li avesse mandati. "Il coordinamento di quartiere", mi ha risposto uno, aggiungendo: "Ma gli americani sono d'accordo, ci hanno dato il permesso".

Questo è sicuro, ma non basta a farmi credere che tutte quelle armi siano finite nelle mani giuste. Così come vorrei sapere con più precisione a che gioco giocano, nel Consiglio di Governo formato dagli americani, Abdul Aziz Al Hakim e Ibrahim Jafari, rispettabili aspiranti ministri ma anche, rispettivamente, numero due del Supremo consiglio della rivoluzione islamica e portavoce del partito fondamentalista sciita Dawa.

Due movimenti che in lunghi anni di lotta contro Saddam hanno formato milizie molto ben armate e addestrate.

A Sadr City delle armi hanno fatto un uso misurato e razionale. "Quando la guerra è finita, gruppi di giovani sono corsi alle sedi del Baat' e hanno trovato gli elenchi degli iscritti al partito", spiega Umm Al Husseini, proprietario di un chiosco in cui vende collanine e ciondoli: "Sono andati a cercarli e li hanno uccisi uno per uno. Ecco perché non ci sono molte sparatorie, qui da noi".

Basta guardarsi intorno per rendersi conto che il quadretto, per quanto terribile, è ancora troppo roseo. Il sobborgo fu fondato nel 1963, col nome di Madinat al Thawra (Città della Rivoluzione), per iniziativa di Abd Al Karim Qasim, uno dei generali che nel 1958 avevano cacciato con un colpo di Stato la monarchia hascemita, per accogliere migliaia di contadini che puntavano verso la capitale per sfuggire al disastro delle campagne. In quello stesso anno 1963 Qasim fu a sua volta cacciato, ma la città rimase e continuò a crescere.

Suddam Hussein, appena preso il potere nel 1979, decise di apportarvi una serie di migliorie, trasformandola da bidonville in bidonville di prima categoria e facendola ribattezzare Saddam City.

Il nome attuale, Madinat Al Sadr, "Città di Sadr", è un omaggio alla memoria dell'ayatollah Muhammad Sadiq Al Sadr, assassinato nel 1999, ma anche alla crescente influenza di suo figlio Muqtadar Al Sadr, che aspira a trascinare gli sciiti iracheni su posizioni meno astutamente moderate di quelle degli ayatollah.


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