E Grozny Sembra Baghdad

Di Fulvio Scaglione, settembre 2004

Il vizietto di far cominciare la Storia dalla data più comoda è assai diffuso, e non solo da noi. Così è stato naturale per i dilettanti della politica e i professionisti della propaganda vociferare dopo la strage di Beslan come se la questione della Cecenia, della guerriglia, dei massacri orrendi si fosse aperta proprio allora, con quegli spari e quelle bombe.

Con il corollario, inevitabile, di mettere sotto accusa chiunque sollevasse anche solo un dubbio sull'operato delle forze russe e del presidente Vladimir Putin. Per restare poi allibiti e muti di fronte alla valanga di accuse spedite al Cremlino proprio dopo Beslan dalla Casa Bianca, che di questi vociferanti è di solito punto di riferimento.

Purtroppo per loro, e suprattutto per noi, Cecenia, politica russa, politica americana e terrorismo islamico sono tessere diverse di un solo puzzle che diventa sempre più difficile comporre. Shamil Basaev, ex ingegnere elettronico diventato cupamente famoso come il capo più spietato della guerriglia cecena, ha rivendicato il massacro di Beslan, pubblicando su Internet anche la "lista della spesa" dell'incursione: un tot per le armi, un tot per gli esplosivi, un tot per i trasporti, totale…

Ma Basaev è soltanto la versione moderna dello sceicco Mansur, che tra il 1785 e il 1791 guidò i ceceni contro l'espansionismo russo, e dell'imam Shamil, che si batté per tre anni e si arrese solo nel 1859, dopo di che la Cecenia fu annessa al resto dell'impero. Anche allora la guerriglia cecena si nutriva di incursioni, rapimenti, sgozzamenti. E i russi, per conto loro, bruciavano i villaggi, deportavano, uccidevano. Per ridurre Shamil alla resa, Mosca inviò nel Caucaso 130.000 soldati, quando i ceceni (donne, bambini e vecchi compresi) erano 89.000.

Storia vecchia? Per nulla. Nel 1944, agendo in base a una delle sue paranoie, Stalin deporta in cinque giorni verso le steppe del Kazakhstan tutti i ceceni: un terzo della popolazione, e cioè 170.000, muore durante il trasferimento. E poi, 1994, Boris Eltsin lancia la prima guerra contro la Cecenia di Dzhokar Dudaev: dura fino al 1996 e si conclude con una vittoria della guerriglia, o con la non vittoria (il che è la stessa cosa) dell'enorme esercito russo.

In quei due anni muoiono 100.000 ceceni, un decimo della popolazione: se fosse successo in Italia, sarebbero stati quasi sei milioni di morti. Altri 150.000 ceceni finiscono nei campi profughi in Inguscezia. Nel 1999 e nel 2000 in Cecenia si combatte un'altra guerra: in un'area di soli 13.000 chilometri quadrati, con una popolazione residua di 500.000 persone, il Cremlino manda 140.000 uomini, tanti quanti ne ha dislocati Bush in Iraq, un Paese con 25 milioni di abitanti. E oggi più del 90 per cento dei ceceni in età da lavoro è privo di occupazione.

Tutto questo non serve, ovviamente, a giustificare l'ingiustificabile, il massacro di Beslan o le incursioni negli ospedali (Budionnovsk, 1995), o l'abbattimento degli aerei civili. Ma serve per capire. E capire i problemi serve a risolverli. Le stragi degli innocenti, dal nostro punto di vista, gettano la vergogna su qualunque causa o teoria. Ma i guerriglieri ceceni non rinunceranno mai al terrorismo, per tre evidenti ragioni.

La prima: praticandolo, mostrano ai loro di poter ancora colpire, agli altri ceceni, per esaltarli e minacciarli insieme. Non tutti, infatti, vogliono ancora combattere e soffrire, e altri sono schierati con Mosca: per esempio la gran parte del folto e potente teip (clan) Benoi, cui appartiene la famiglia Kadyrov da cui è uscito il presidente Akhmad (ucciso nello stadio di Grozny) e l'attuale uomo forte della Cecenia, suo figlio Amraz.

La seconda ragione: le incursioni terrorizzano i russi, tengono vivo lo spauracchio del Caucaso. Terzo: con questi clamorosi massacri attirano l'attenzione della comunità internazionale.

Dopo Beslan, infatti, è di nuovo scoppiata la polemica tra l'Unione europea e Washington contro Mosca. Non è una mera questione di "pubblicità". In tutti questi anni, la Cecenia è sempre stata abbandonata al suo destino. Mentre la prima guerra era in corso (1994-1996), La Casa Bianca definì il conflitto "un affare interno della Russia", il Consiglio d'Europa accolse la Russia e il Fondo monetario internazionale concesse al Cremlino un maxiprestito da 50 miliardi di dollari. L'Onu? Mai vista.

I capi della guerriglia cecena, che spesso hanno praticato la politica (Shamil Basaev, per esempio, è stato anche primo ministro della Repubblica), credono che la soluzione per arrivare alla pace senza piegarsi a Mosca, o alla tregua senza l'occupazione dell'Armata Rossa, stia nel coinvolgere una terza parte (gli Usa, l'Onu, L'Ue…) in una formula tipo Kosovo, con una forza d'interposizione a fare da cuscinetto.

Il progetto è senza speranza. Soprattutto dopo l'11 settembre 2001 e le Torri Gemelle. Da un lato perché la parola d'ordine della lotta al terrorismo islamico ha portato a ulteriori divisioni (l'Onu conta poco, l'Europa discute, gli Usa hanno altri problemi), dall'altro perché nel frattempo gli aiuti in arrivo dai Paesi del Golfo Persico sono diventati necessari ai capi delle formazioni armate cecene, in particolare a quelli che, come Basaev, si sono molto legati alle sorti del wahabismo di marca saudita.

Dopo la prima guerra del Golfo gli Usa preferirono non cacciare Saddam, dopo la prima guerra la Russia non riuscì a controllare la Cecenia. Infine è arrivata una seconda e definitiva guerra, il capo nemico è stato eliminato (Dudaev ucciso, Saddam in galera), il Paese nemico occupato, il suo esercito disperso, qua e là: devastazione economica, terrorismo incontrollabile, ostilità crescente della popolazione, territorio inaccessbile agli stranieri che non siano inglobati nelle truppe d'occupazione, Governi posticci, diffusione crescente del fondamentalismo e dell'estremismo islamico in società come quelle cecena e irachena che, prima della guerra, ne erano quasi immuni o gli erano addirittuta ostili.

È curioso ma non casuale che il parallelismo Cecenia-Iraq, così evidente nei fatti, venga energicamente respinto proprio dai protagonisti, Usa e Russia, che invece su di esso litigano: la Russia condanna l'invasione dell'Iraq, gli Usa sgridano il Cremlino per Cecenia.

Ma come? Ci hanno detto per anni che il terrorismo islamico è uno solo, che la civiltà cristiana è il suo nemico, che siamo tutti nello stesso mirino. Sono addirittura arrivati alla stessa strategia, quella della "guerra preventiva", abbracciata da Vladimir Putin dopo il disastro di Beslan e da Bush dopo l'11 settembre, che in fondo è stato la Beslan dell'America. Come fanno a litigare?

La verità è che Usa e Russia la guerra preventiva la fanno, sì, ma gli uni contro l'altra e viceversa. Attaccando l'Iraq, che non aveva nulla a che fare con l'11 settembre e non aveva armi di distruzione di massa, gli Usa accentuano la tendenza, avviata con il tracollo dell'Urss, a spostare verso Est il baricentro della propria influenza politica e militare, cercando un sempre più ampio controllo delle fonti di petrolio e delle rotte dei commerci.

Attaccando la Cecenia, la Russia tenta di bloccare anche la penetrazione americana nel Caucaso e nelle aree petrolifere dell'ex impero sovietico e l'appoggio che a essa offrono ex Repubbliche come la Georgia, il Turkmenistan o l'Azerbaigian, finite nell'orbita degli Usa. E il terrorismo, intanto, continua a colpire.


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